martedì 22 luglio 2008

LA POVERA BOLOGNA di Johann "Hansy" Lumen

Pubblichiamo con grande orgoglio il racconto di Toffa Lumen, già apprezzata per l'ideazione della campagna virale Birra Cofferati, la creativa "plagiarista" in questo sublime racconto, "crackato" a Nikolay Karamzin, eleva la prosa di Hansy a vette mai raggiunte.Il tema scabroso del triangolo: amore, politica, potere viene qui affrontato con inaudita lucidità e da prospettive indedite:

LA POVERA BOLOGNA di Johann Hansy Lumen

Forse nessuno, tra coloro che abitano a Bologna, conosce così bene come me questa città e i suoi dintorni, perché nessuno più spesso di me vaga a piedi, senza un piano, senza una meta.
Nessuno conosce come me questo margine della pianura Padana, e i colli e i monti che digradano verso il gran seno dell'Adriatico. Ogni estate trovo nuovi luoghi piacevoli o, in quelli vecchi, nuove bellezze.
Ma più di tutto mi piace quel luogo dove, sopra i campanili e le cupole, spicca l'elegante sagoma della torre degli Asinelli.
Bologna è una città che, collocata ai margini di una vasta pianura, è sempre stata paragonata nella sua bella forma ad una nave. L'immagine di questa città è sempre piaciuta a tutti i viaggiatori, stupiti per la sua architettura: un quadro superbo, specialmente quando è illuminato dal sole, quando i raggi del tramonto ardono sulle cupole e su quelle rosse mura!
Le sue strade, agevoli a percorrersi, vanno spontaneamente verso la grande piazza Maggiore, un tempo luogo del potere civile e di quello religioso.
Le strade di Bologna, affiancate allora come oggi da continui e comodi portici, su cui si elevano conventi, chiese e palazzi. Là, giovani, seduti all'ombra dei colonnati, cantano semplici meste canzoni, e ingannano in tal modo i giorni estivi, tanto monotoni per loro.
Poco distante, a piazza Maggiore, brilla S. Petronio con la sua imponente facciata e, lì, a due passi il grandioso Palazzo Comunale, ahimè ancora per poco!
Vengo spesso in questo luogo ed è qui che quasi sempre accolgo la primavera, vi torno anche nei cupi giorni dell'autunno per rattristarmi insieme con la natura. A seconda dell'anno le nebbie o l'afa impregnano la piazza e i suoi palazzi. Là, seduto sul sagrato di S.Petronio, porgo l'orecchio al sordo gemito dei tempi ingoiati dall'abisso del passato, un gemito che fa sussultare e fremere il mio cuore. Talvolta entro nel Palazzo Comunale, in quello del Podestà, mi sposto verso il Palazzo di re Enzo e sento un brivido che fa sussultare e fremere il mio cuore; immagino coloro che vi abitavano e penso chi vi abita ora: quali tristi scene si aprono oggi ai miei occhi! Un vegliardo canuto che esce dal suo ufficio e in cuor suo prega di venir liberato quanto prima dai ceppi che lo legano a questa giunta comunale: giacchè tutti i piaceri sono per lui scomparsi, tutti i sentimenti sono morti. Là un impiegato più giovane, dal pallido viso e dallo sguardo mesto, guarda attraverso la sua
finestra, vede gli allegri piccioni che nuotano liberamente nel mare d'aria, li vede e versa dagli occhi lagrime amare. Egli langue tra le carte, avvizzisce, si rattrappisce, e un triste rintocco di campana mi annuncia la sua morte prematura. Talvolta osservo sulla loggia del Palazzo del Podestà i rilievi che circondano le finestre e vedo le ombre dei suoi antichi abitanti. Tutto ciò mi rinnova nella memoria la storia della nostra città, la nostra grande storia, Bologna la più bella fra le grandi città continentali italiane, gli artigiani e i commercianti che stupirono il giovanissimo Mozart e l'incostante amante di città, Stendhal: i tessuti, l'intaglio e l'ebanisteria, le mortadelle, i fiori, i profumi e i suoi famosissimi cagnolini.
Ma più spesso di tutto il sagrato di S. Petronio mi attira il pensiero della lagrimevole sorte toccata a questa città. Ah, povera Bologna! Ah, io amo i temi che mi toccano il cuore e mi obbligano a versare lagrime di tenera afflizione!
Il grandioso Palazzo Comunale, costituito da due distinti corpi di fabbrica, si erge maestoso in mezzo alla piazza; un tempo vi abitarono dei sindaci gentili con le loro dolci giunte comunali.
Molti di questi sindaci erano stati apprezzati, perché amavano il lavoro e avevano sempre condotto una vita sobria. Ma ben presto, la città iniziò il suo lento declino. La pigra mano delle nuove giunte coltivava male le potenzialità della città, e le messi, che un tempo biondeggiavano al sole, smisero di dare i loro frutti. La città, un tempo potenza artigiana e commerciale, poi sedotta dal capitalismo agrario, famosa per la sua sapienza gastronomica e per il suo strato di cultura e arte, di giorno in giorno si indeboliva sempra più. Bologna tentò di reagire, senza risparmiarsi si affaccendava giorno e notte: tesseva il suo futuro.
"Dio mi ha dato le mani per lavorare" diceva Bologna. "Devo smettere di crucciarmi, devo risollevarmi".
Ma spesso la tenera Bologna non poteva trattenere le lagrime. Ah! Ella ricordava di aver avuto un passato e di non averlo più; cercava di nascondere il dolore del suo cuore e di sembrare serena e allegra.
"Un giorno tornerò ad essere lieta quando rivedrò il mio passato. Che ne sarà di me? Chi verrà ora ad insediarsi nel Palazzo Comunale? Forse si troverà ben presto una brava persona!"
Passò il tempo e presto Bologna si imbattè in un giovane, non giovanissimo, ma ben vestito, di aspetto piacevole. Bologna gli mostrò le sue ricchezze ed arrossì.
Il giovane, non giovanissimo, guardò la città, ammirò la splendida Bologna, la strinse a sé e le promise di dedicarsi solo a lei. Bologna si consegnò fiduciosa al suo giovane, non giovanissimo, sindaco e gli indicò il Palazzo Comunale.
Egli, Sergej Gaetan il suo nome, si insediò e dalla finestra del suo nuovo ufficio guardava i passanti e ansimava leggermente.
Bologna fremeva pensando al suo nuovo sindaco e diceva: "Ha un viso così buono, una voce così.".
Bologna, quella prima sera, sentì le lagrime spuntarle agli occhi. Il giorno dopo, Bologna colse un mazzo di mughetti e si recò al Palazzo Comunale; i suoi occhi cercavano segretamente qualcosa, voleva rivedere il suo bel Sergej, ma egli non si fece trovare. Giunse la sera e Bologna gettò i fiori nel primo cassonetto. "Se lui non c'è, nessuno vi possieda!" disse Bologna con un sentimento di tristezza nel cuore.
Il giorno seguente, verso sera, la città tesseva come sempre il suo futuro e con voce sommessa cantava canzoni lamentose, ma improvvisamente balzò in piedi ed esclamò: "Ah!." Il sindaco Sergej stava attraversando Piazza Maggiore.
Bologna tremava e pensava: "Eccolo è lui, che portamento e che bell'abito indossa!"
Sergej salutò una buona vecchietta che passava per la piazza e Bologna, premurosa cominciò ad offrirgli le sue bellezze. Dopo di ciò egli ringraziò Bologna, e la ringraziò non tanto con le parole quanto con le sue nuove decisioni.
Bologna, la timida Bologna lanciava ogni tanto qualche occhiata al suo Sergej, ma non è così rapido il lampo che brilla nel cielo e sparisce in una nube, quanto erano veloci i suoi occhi a rivolgersi verso il suolo, incontrandosi con lo sguardo di lui.
"Io vorrei" egli disse alla giunta comunale, "che Bologna ascoltasse solo me e nessun'altro tranne me. In questo modo ella non avrà più motivo di preoccuparsi". Negli occhi della giunta brillò una gioia che tutti si sforzavano invano di nascondere; le guance di tutti ardevano come il tramonto in una limpida sera d'estate. Bologna, frattanto, si guardava attorno ed era finalmente lieta.
Bologna ripeteva il nome del suo Sergej per imprimerselo bene nella mente.
Sergej al mattino la salutava ed entrava nel suo Palazzo Comunale.
Ora il lettore deve sapere che il nostro non giovanissimo Sergej Gaetan, era stato un giovane di bell'ingegno e di buon cuore, buono per natura, ma debole e incostante. Egli pensava solo al proprio piacere, lo cercava prendendo spesso delle decisioni discutibili, ma sovente non lo trovava; si annoiava e si lamentava della sua sorte. La bellezza di Bologna aveva colpito il suo cuore sin dal loro primo incontro. Egli leggeva romanzi; aveva un'immaginazione abbastanza vivace e si trasportava spesso idealmente a quei tempi nei quali, se si deve credere ai verseggiatori, tutti gli uomini passeggiavano spensierati per le strade di Bologna e si riposavano sotto i porticati e trascorrevano giorni in ozio là vicino alle due torri che si ergono eleganti verso il cielo. Gli sembrava di avere trovato in Bologna ciò che il suo cuore da tanto tempo cercava.
"La natura mi invita tra le sue braccia, alle sue pure gioie" egli pensava, e si decise a conoscerla bene per farla sua.
Torniamo a Bologna. Scesa nuovamente la notte, la città si preparò per un nuovo sonno tranquillo; ma questa volta non fu così. Bologna dormì malissimo. Il nuovo ospite del Palazzo Comunale le appariva continuamente nel sonno e la destava. Ancora prima dell'alba Bologna era perfettamente sveglia, qualcosa le inquietava l'anima. Pensosa rivolse lo sguardo verso le finestre del Palazzo Comunale. Questa volta Bologna era sovrappensiero. Ah, Bologna, Bologna! Cosa ti è successo? Fino a ora la tua anima pura si specchiava nelle tue vie, nei tuoi porticati, nelle antiche dimore e nelle bottegucce di un tempo, allo stesso modo in cui il sole si specchia nelle gocce della rugiada celeste; ora invece sei pensierosa.
Bologna pensò: "E se colui che occupa adesso i miei pensieri non fosse ciò che sembra?"
Frattanto Sergej nel suo bell'ufficio posto nella parte migliore del Palazzo Comunale guardava la mappa della sua città e pensava: "Cara Bologna! Cara Bologna! Io ti amo!" e queste parole risuonarono nel profondo della sua anima come una meravigliosa musica celeste.
Bologna credette alle parole del suo Sergej. "Mi amerai per sempre, vero?"
"Sempre, Bologna carissima, sempre!" rispose egli.
Bologna gli credette, Sergej Gaetan mai avrebbe potuto ingannarla.
E, forse, chissà, allora il cuore di Sergej era veramente puro. Ogni mattina egli si recava presso il suo ufficio e con la mano sfiorava la mappa della sua Bologna, giocherellava con i suoi vecchi quartieri, fissava i suoi edifici pericolanti e i campi rom. Vivremo con Bologna come fratello e sorella (pensava egli). Non abuserò del suo amore e sarò sempre felice!
Non più giovanissimo, ma pur sempre sconsiderato! Conosci forse il tuo cuore? Puoi rispondere dei tuoi impulsi?
Ogni mattina, recandosi verso il suo Palazzo Comunale Sergej ascoltava le voci della sua Bologna con non simulato piacere. In tal modo trascorsero alcune settimane.
Un mattino, giunto al suo posto di lavoro, Sergej prese a baciare la sua scrivania, egli non sapeva più accontentarsi di un amore puro, voleva di più. Fu inevitabile che il pudore soccombesse!
Sergej sentiva un insolito tumulto nel sangue - Bologna non gli era mai sembrata così incantevole - le sue piazze, le facciate dei suoi palazzi non lo avevano mai commosso così fortemente come quel mattino. Ah, Bologna, Bologna! Dov'è il tuo angelo custode? Dov'è la tua innocenza?
Quando, quel mattino, Sergej disse: "La gestione dell'ordine pubblico deve cambiare!" - Bologna tremò. "Ah, ho paura" diceva Bologna, "ho paura di ciò che sta accadendo!"
Sergej disse: "Ora basta! Quegli edifici devono essere sgomberati subito!"
Le lagrime incominciarono a sgorgare dagli occhi di Bologna. "Ah, Sergej, assicurami che saremo felici come prima!"
"Lo saremo, Bologna, lo saremo!" rispose egli.
Ma Sergej non poteva ormai più accontentarsi degli ingenui sguardi pieni d'amore della sua città, egli desiderava sempre di più, ora il potere era nelle sue mani, non voleva perderlo, Bologna era sua!
Ella si accorse che il suo Sergej era cambiato e spesso gli diceva: "Prima eri più allegro, prima eravamo tranquilli e felici, e non temevo tanto come ora!"
A volte la sera, egli accomiatandosi dalla sua giunta diceva: "Domani non possiamo vederci; non potrò venire all'inaugurazione, né alla partita". La giunta sospirava, Bologna sospirava.
Sergej cambiava di giorno in giorno, il potere lo stava straziando, l'amore non gli bastava più. Così decise di chiudere i campi nomadi, s'inferocì con i lavavetri e alla fine il demone del potere si scagliò contro le mura della sua stessa Bologna. "La voglio pulita!" tuonò un mattino, "via tutti i graffiti non autorizzati, oggi tutta Bologna si dedicherà alla ripulitura straordinaria dei muri. Non un solo segnetto, neanche di gessetto, dovrà rimanere. Bologna è mia, mia, mia!"
La follia si era ormai insinuata nella sua mente. Il potere aveva dilaniato i suoi fragili nervi.
Bologna, disperata, piangeva. Ah, uomo crudele e senza cuore!
Bologna, ancora sperava, sperava che un giorno tutto sarebbe tornato come prima, che il suo Sergej l'avrebbe nuovamente guardata con gli occhi puri di un tempo. Ma, prima che Bologna potesse riaversi dalla sua ultima decisione, Sergej sottoscrisse il "patto sulla legalità" con Alleanza Nazionale e colpì le due Torri.
Il cuore di Bologna s'infiammò, ella era pronta a maledirlo. E così Sergej aveva ingannato Bologna che, da un giorno all'altro, si ritrovò in condizioni tali che nessuna penna potrebbe descrivere.
Una fitta nebbia scese sulla città, nonostante fosse primavera, i suoi pensieri, i suoi sentimenti trafitti da colui che più avrebbe dovuto amarla. La sventurata aprì gli occhi, ora era tutto chiaro. Egli l'aveva tradita. Ella si era fidata e tutto il suo amore gli aveva donato, ma Sergej Gaetan aveva preferito il potere, i soldi, la stella da sceriffo, piuttosto dell'amore puro della generosa Bologna.
Ma tu, Sergej Gaetan, potrai ancora essere felice, dopo tutto questo?

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